INTERVISTE

ITALHOOP intervista Pierfrancesco Oliva

ITALHOOP intervista Pierfrancesco Oliva, uno dei migliori all-around d’Europa dell’annata ’96, protagonista da due anni a questa parte in America dopo la coraggiosa scelta di lasciare l’Italia.

Oggi la NCAA e l’America in generale appaiono più vicine per i giovani cestisti italiani, ma uno dei precursori è stato sicuramente Pierfrancesco Oliva. La sua scelta di lasciare l’Italia e la Virtus Siena, dove avrebbe avuto sicuramente un percorso di successo, ha sorpreso i più.
Ma i talenti di questo tipo, si nutrono di sfide. Pierfrancesco ci ha raccontato la sua voglia di mettersi in discussione e di emergere, come giocatore e come uomo.

Cosa ti ha spinto a lasciare l’Italia e la Virtus Siena?

“Beh in effetti è stata una scelta coraggiosa. Ho deciso di mettermi alla prova andando via dall’Italia, dove comunque mi stavo facendo un nome, per tentare l’avventura in America ripartendo come uno dei tanti. Ho iniziato nuovamente da capo e anche questo è stato un motivo di curiosità per me. Non me la sentivo di dovermi adeguare alle condizioni di alcune società che, come spesso accade, non hanno un progetto concreto per i giovani”.

 

Il tuo mentore è stato sicuramente coach Vezzosi, che ti ha impostato da playmaker quando altri magari avrebbero approfittato della tua stazza fisica. Cosa ha significato per te il periodo alla Virtus Siena?

“La mia altezza mi è sempre stata d’aiuto. Fin da piccolo gli allenatori non mi hanno mai fatto giocare da lungo perché ero molto più utile alla squadra partendo da fuori area, ma Vezzosi mi ha insegnato ad osservare ogni aspetto del gioco. Giocare da playmaker non significa palleggiare davanti al proprio difensore per dieci secondi e tenere la palla in mano per il gusto di farlo, giocare da playmaker vuol dire saper riconoscere le situazioni e causare problemi agli avversari. A Siena giocavamo con cinque giocatori intorno ai 2 metri, quindi le squadre non riuscivano ad accoppiarsi in difesa e ora quell’ esperienza di sta rivelando molto utile”.

 

Sei un all-around di oltre 2 metri e i maggiori dubbi su di te hanno sempre riguardato il tuo fisico. Tra gare di schiacciate vinte nei vari tornei a cui hai partecipato e le windmill che posti quotidianamente sui tuoi profili social questi dubbi sembrano non sussistere più: quanto hai lavorato sul tuo fisico? Quanto è importante, al di là dell’oceano, curare correttamente il proprio corpo e la propria alimentazione?

“Il mio fisico potrà essere stato un dubbio per gli altri, ma mai per me. In Italia alcuni episodi sfortunati mi hanno procurato degli infortuni che mi hanno tenuto fermo per un po’. Aldilà di questo i vari preparatori che mi hanno seguito mi hanno sempre messo nelle condizioni di migliorarmi dal punto di vista fisico. In America ovviamente ho superato le mie aspettative sotto il profilo atletico e fisico: il lavoro è nettamente più specifico e meticoloso e ti educano nel provare a migliorare il tuo corpo e le tue prestazioni day-by-day”.

 

Un giocatore con le tue caratteristiche è il prototipo del giocatore del nuovo millennio. Quali credi siano i tuoi punti di forza in campo? Qual è un aspetto del tuo gioco che passa inosservato ma in cui ti senti già a buon livello?

“Penso che la mia forza sia nel causare mismatch. Molto spesso sono marcato da giocatori più alti che non riescono a tenermi in velocità. Viceversa, quando sono marcato da giocatori più piccoli, riesco a usare il mio fisico per portarli vicino a canestro. Credo che l’aspetto maggiormente sottovalutato del mio gioco sia il passaggio: mi piace passare la palla, mi piace fare la giocata giusta al momento giusto. È una caratteristica che ho sviluppato nel corso degli anni”.

 

Da Bergen Catholic a Saint Joseph’s: cosa ti ha convinto del programma degli Hawks? Che tipo di prospettive ti hanno assicurato sul tuo ruolo in campo e sui miglioramenti individuali da effettuare?

“Gli Hawks sono stati il primo college a manifestare interesse nei miei confronti. Coach Martelli ha subito capito che tipo di giocatore sono e ci siamo trovati d’accordo parlando di basket e del mio gioco. Quest’anno ho davanti diversi senior che hanno un tipo di gioco simile al mio, quindi avrò una grande opportunità per imparare, ma anche uno stimolo in più per riuscire a scavalcarli nelle rotazioni. Ho ancora tanto, tutto da migliorare: non c’è solo un aspetto su cui penso di dovermi concentrare, ma sono sicuro che Saint Joseph’s sia il posto migliore per progredire”.

 

Qual’è il giocatore a cui ti sei ispirato fin da piccolo?

“Come tutti i ragazzi ho provato ad ispirarmi ai giocatori che più mi piacevano (LeBron James o Kevin Durant ad esempio) piuttosto che a quelli con un gioco simile al mio. Ma i giocatori a cui mi ispiro ora sono quelli con caratteristiche fisiche simili alle mie, quelli che riescono a fare un po’ di tutto in campo: uno dei miei giocatori preferiti è Tony Kukoc”.

 

Dopo l’Europeo Under 16 del 2012 in cui hai incantato parecchi addetti ai lavori e quello Under 18 del 2013 sei stato distante dai colori azzurri. Sui forum si parla di diversità di vedute con lo staff azzurro sul tuo ruolo in campo, mentre le motivazioni date dalla Federazione riguardano gli impegni scolastici. Vuoi chiarire definitivamente ai nostri lettori quali sono state le reali motivazioni?

“L’unica ragione sono stati i miei impegni negli Stati Uniti. Quest’anno dovrei avere più tempo durante il periodo estivo e mi piacerebbe vestire la maglia di una Nazionale giovanile per un’ultima competizione europea. Ma manca ancora molto tempo quindi staremo a vedere”.

 

Ovviamente in un’avventura del genere, oltre all’aspetto sportivo, la parte formativa non ha eguali: in cosa ti senti “cresciuto” al di fuori del campo? Quali studi intraprenderai?

“Mi sento maturato da un punto di vista umano, ma anche e soprattutto culturale. Non è facile vivere a dieci ore di aereo di distanza dalla tua famiglia, quindi bisogna saper prendere le decisioni giuste perché non c’è nessuno ad aiutarti o a farlo per te. Al momento sto studiando business, ma non sono ancora sicuro del mio major. Ho ancora un anno per decidere e vedremo come andrà!”

 

Essere incerti, a volte, è sinonimo di debolezza. Crearsi volutamente delle incertezze è sinonimo di coraggio. Sarebbe facile per noi apprezzare una schiacciata piuttosto che un canestro da 3 punti di Pierfrancesco.
La caratteristica che lo contraddistingue rispetto ai suoi coetanei è proprio il coraggio. Il coraggio di cambiare, di rischiare mettendosi in discussione, di accettare continuamente nuove sfide.

Perché, i talenti di questo tipo, si nutrono di sfide.

 

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© photo: facebook.com/pierfrancescoollyoliva